La distanza apparente



The Apparent Distance #2,2020

Fabrics, printed fabrics, plastic, thread, straps, buckles

350 x 178 cm. Photo by Augusto Maurandi

 

 

The Apparent Distance #1,2020

Fabrics, printed fabrics, plastic, thread, straps, buckles

315 x 152 cm. Photo by Irene Fanizza, Alberta Pane Gallery

 

 

The Apparent Distance #3,2020

Fabrics, printed fabrics, plastic, thread, straps, buckles

140 x 170 cm. Photo by Augusto Maurandi

 

 

A Bartleby, installation view at Alberta Pane Gallery, Venice, 2021

Photo by Irene Fanizza

 

 

A Bartleby, installation view at Alberta Pane Gallery, Venice, 2021

Photo by Irene Fanizza

 

 

A Bartleby, installation view at Alberta Pane Gallery, Venice, 2021

Photo by Irene Fanizza

 

 

La distanza apparente, 2020

Tessuti tessuti stampati, plastica, filo, cinghie, fibbie.

Misure variabili

 

 

La distanza apparente è una ciclo di lavori del 2020 che nasce da una serie di collages in carta dove convivono tecniche ed elementi eterogenei: il rigoglio vegetale viene invaso da forme geometriche, il frammento fotografico è amalgamato all’intervento pittorico. È come se fosse un gioco ad aggiungere dove la completezza del collage è fatta da elementi a volte complementari e a volte compatibili. Mi sono fatta varie domande mentre lavoravo a questa piccola serie su carta: cosa sta dentro e cosa fuori? Cosa sta sullo sfondo e cosa in primo piano? Chi contiene chi? Sono le stesse domande alla base di questi nuovi lavori: una naturale evoluzione del collage dove la carta è sostituita da un assemblaggio di tessuti di varia natura. I tessuti tagliati e ricuciti tra loro diventano paesaggi “modificati”, “invasi” dove lo sguardo è chiamato non a vedere quello che si ha di fronte ma a guardare quello che si ha desiderio di vedere. Dimensioni altre in cui rifugiarsi, dove è latente un senso di mistero, una dimensione estranea, non umana, che a tratti è minacciosa ma anche misteriosa, sognante e avvolgente. Il lavoro si apre su orizzonti “diversi”, che traghettano lo sguardo in altri luoghi. Ogni accostamento di tessuto e colore non è semplice addizione ma una moltiplicazione, uno sfondamento. Alcuni tessuti sono costituiti da un materiale sintetico, particolarmente leggero e trasparente, sul quale ho fatto stampare in digitale dettagli di collages: sono poi destrutturati, tagliati e assemblati nuovamente insieme ad altri ritagli di tessuti e plastiche e sono appesi, grazie a delle cinghie colorate e visibili, non rasente i muri ma nello spazio. Si stabilisce così un legame narrativo con l’architettura che li ospita e con quello che li circonda che entra a far parte del lavoro, reso visibile dalla trasparenza della plastica. Lo sfondo diventa primo piano o viceversa? Il retro del lavoro ha la stessa importanza del fronte, per questo è concepito per essere visto a 360 gradi.

 

 

 

The Apparent Distance, 2020

Fabrics, printed fabrics, plastic, thread, straps, buckles.

Variable dimension

 

La distanza apparente (The Apparent Distance) is a cycle of works from 2020 that stems from a series of paper collages in which heterogeneous techniques and elements coexist: geometric shapes invaded nature, pictorial intervention is amalgamating with the photographic fragment. It is as if it were a game of addition where the completeness of the collage is made up of elements that are sometimes complementary and sometimes compatible. While working on this small series on paper, I asked myself several questions: what is inside and what is outside? What is in the background, and what is in the foreground? Who contains whom? These are the same questions that underlie these new works: a natural evolution of collage where paper is replaced by an assemblage of fabrics of various kinds. Fabrics, cut and stitched together, become “modified”, “invaded” landscapes where the gaze is called upon not to see what is in front of us but to look at what we wish to see. We want to immerse ourselves in other dimensions in which to take refuge, where there is a latent sense of mystery, a foreign, non-human ambient, which at times is threatening but also mysterious, dreamy and enveloping. The work opens up “different” horizons, taking the eye to other places. Each fabric and colour combination is not a simple addition but a multiplication, a breakthrough. Some of the fabrics are made of synthetic material, remarkably light and transparent, on which I have had details of collages digitally printed: they are then deconstructed, cut and assembled again together with other scraps of fabric and plastic and are hung, thanks to coloured and visible straps, not next to the walls but in space. The architecture that houses them and their surroundings establish a narrative link with the works. The architecture becomes part of the work, made visible by the transparency of the plastic. Does the background become foreground or vice versa? The back of the work is just as important as the front, and I am not hiding it.
The whole work can be seen at 360 degrees.